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Santa
Messa nella cappella del Cenacolo - Gerusalemme
Ultima omelia di Padre Gianni S.
Vi lascio alcune parole di conclusione di questo meraviglioso
pellegrinaggio vissuto insieme a voi che condividete l’esperienza
ecclesiale mariana di Paratico.
1 - La conversione della mente e la conversione del cuore
Partiamo dall’idea dei due discepoli di Emmaus (Lc 24, 13-35), i
quali erano tristi ed erano tristi perché avevano perso Gesù. Erano ben
lontani dal pensare alla Sua resurrezione.
La tomba era vuota, ma questa constatazione fu motivo di ulteriore
preoccupazione e non di gioia per i due pellegrini che scendevano da
Gerusalemme. Gesù era ormai stato ucciso, finito, nonostante le donne
avessero trovato qualche segno a dire il vero sconvolgente, che era ancora
da decifrare, ma in fondo non lo avevano davvero trovato. Quindi erano
tristi per la mancanza di
Gesù.
Ma poi i discepoli di Emmaus spiegano in che cosa consisteva la loro
tristezza.
Non era soltanto la tristezza per avere perso Gesù, ma per avere perso
quel Gesù che essi pensavano che realizzasse i loro schemi. Avevano una
loro immagine, si erano costruiti una loro identità di Gesù. Avevano un
tipo di conoscenza affettuosa di cuore, ma era una conoscenza sbagliata.
Tanto è vero che loro dicono: noi speravamo che Lui venisse a ricostituire
il regno di Israele, cioè ci affrancasse e ci liberasse dai romani.
Quindi, tristezza sì per Gesù, ma una tristezza equivoca, la tristezza di
chi ha una conoscenza errata di Gesù. Questo modo di conoscere Gesù non
poteva fare innescare l’appartenenza al fenomeno Gesù.
A questo punto ecco una cosa fondamentale anche per noi. Secondo me la
percentuale di coloro che conoscono il “fenomeno Gesù” è molto
bassa. Uso appositamente una parola che era proprio del filosofo tedesco
Usserl, la parola “fenomeno”.
Quello che appare di Gesù, il fenomeno di Gesù rischia di essere
equivocato nella sua lettura fondamentale. Alla fine dobbiamo confessare
che non conosciamo Gesù.
È per questo motivo che, quando parliamo di conversione, dobbiamo
anzitutto pensare alla dimensione della mente prima ancora che a quella
del cuore, perché se il cuore si converte, ma si converte assumendo,
accogliendo e quindi producendo una appartenenza verso qualcosa di errato,
allora questa non possiamo chiamarla vera conversione anche se c’è un
cambiamento. Anzi il cambiamento può essere in peggio se questo fosse
originato da un equivoco. E questo è proprio il caso dei due discepoli di
Emmaus, causa della loro tristezza.
Conversione nel greco del Vangelo è detta metanoia, cioè
trasformazione della mente.
La conversione deve essere veramente e in base e in forza della conoscenza
che io ho di colui al quale io mi converto e lego la mi vita.
Proprio Gesù parlando ai due discepoli di Emmaus, e quindi nello spiegare
tutte le Scritture, ha dato la chiave della conoscenza, ha fatto una
scuola di esegesi, una scuola di teologia (ed é importante oggi come oggi
di non equivocare sul fenomeno Gesù, di non farsi una idea propria di
Gesù). Ha spiegato le Scritture in quello che si riferivano a Lui, al suo
fenomeno. Proprio durante l’illuminazione della loro mente il cuore
cominciava ad ardere e a prepararsi ad avere la “visione” retta di Lui, a
volgersi a Lui, a dipendere da un Gesù vero, quello vero.
Anche gli agnostici del II secolo avevano innescato un movimento che
sarebbe stato di nullificazione della Chiesa se avessero continuato ad
avere, anzi a creare di Gesù un immagine soltanto spiritualista ed
idealista, a partire dal loro a priori filosofico.
In fin dei conti i due discepoli di Emmaus avevano un’immagine idealista e
spiritualista legata a un sogno politico. Quello dei poveri discepoli di
Emmaus era uno gnosticismo politico e Gesù che cosa ha fatto?
È entrato tra loro, si è messo dentro il loro cammino, ma non ha toccato
anzitutto il loro cuore, ma ha permesso che il loro cuore cominciasse ad
avere la direzione giusta (il cuore che ardeva), perché lui stava
immettendo in loro le idee giuste e, spiegando la scrittura da Mosè ai
profeti, ha spiegato tutto, ha spiegato in che cosa consistesse la sua
identità messianica.
Nella conoscenza di Gesù era necessario anche ammettere l’esperienza
ineluttabile ed essenziale della morte e del fallimento e quindi della
resurrezione.
Quando sono arrivati alla fine di questo percorso, che è stato in fin dei
conti un percorso intellettuale, Gesù ha voluto dar da capire bene la sua
identità, un’identità che era già stata prefigurata, pensata non inventata
ex abrupto, ma pensata, profetizzata, preconizzata coerentemente
già nell’Antico Testamento.
Gesù ci tiene a dire “Io sono la realizzazione della vera
interpretazione dell’antico testamento”, “Non sono venuto per
abolire, ma per compiere” (cf Mt 5,17).
Quindi questa è la prima idea: attorno al fenomeno Gesù si deve creare un
movimento di conoscenza vera alla portata di Gesù e non alla portata
umana, ecco allora tutti i sogni su Gesù, anche i sogni devozionali, i
sogni spiritualistici come anche i sogni politici o i sogni umanitari
partono da una idea che in fin dei conti è una idea che io mi sono fatto
di Gesù e invece io devo partire da Gesù per conoscerlo per poi applicarne
l’idea a tutti gli aspetti della vita.
Quindi è fondamentale il movimento ed il percorso della conoscenza vera
del fenomeno Gesù, come avete avuto la possibilità di iniziare a fare in
questi giorni di pellegrinaggio in Terra Santa.
Allora, a questo punto, è bene considerare che anche nel vostro movimento
che si va costruendo in modo benemerito da circa quindici anni intorno a
Maria, Mamma dell’Amore, ci vuole uno che si prepari in modo preciso in
teologia e nella esegesi del fenomeno Gesù, che diventi educatore e aiuto
nella formazione ai propri fratelli e sorelle toccati dalla Madonna per un
risveglio e rinnovamento della Chiesa (a questo punto mi sento anche di
dire: non come certi teologi che pensano di essere teologi e invece
contraffanno la fede e presentano a loro volta “il loro Gesù” e vogliono
documentare la loro presentazione a partire da schemi che si sono fatti
essi stessi della teologia).
È molto importante essere puri nell’accostare il fenomeno Gesù. Che la
stessa conoscenza di Gesù sia una conoscenza pura, libera da tanti a
priori di ogni tipo, da ogni a priori filosofico o comunque anche da
qualsiasi a priori di attesa, sia anche una attesa politica, o di
interessi privati.
In fin dei conti, anche gli Ebrei si riferirebbero al fenomeno Gesù se nel
fenomeno Gesù ravvisassero quello che risolve tutti gli attuali problemi
politici di Israele e assicurasse ad Israele la sicurezza di fronte ad
ogni attacco. A questo punto non sarebbe più necessario ricorrere alla
bomba o all’arma nucleare contro, ad esempio, l’Iran (perché lo si vede
come l’unico pericolo in questo momento).
Mi si perdoni quello che sto dicendo che più per un’attualizzazione sulla
situazione odierna è più per far capire la situazione d’incompatibilità
che c’era tra Gesù e la lettura equivoca e distorta dei discepoli di
Emmaus. Vorrei dire che Gesù avrebbe creato le premesse per un vero Stato
di Israele, se questo fosse veramente un’iniziativa della Provvidenza per
realizzare quella vocazione di Israele a essere benedizione di tutte le
nazioni (cf Gen 12,3) preconizzata nella vocazione di Abramo. Israele ha
la vocazione dell’unità dei popoli e non della loro esclusione. Se invece
la lettura delle Scritture è ideologica e fondamentalista con un’idea di
messianicità fondata sulla supremazia e sull’esclusivismo, un’idea che è
poi la stessa mentalità espressa dai due discepoli di Emmaus, allora
questa è incompatibile con il Regno annunciato da Gesù.
Quindi il primo compito è la conoscenza, la dimensione della conoscenza,
conoscere Gesù, proprio perché quando si conosce Gesù di Gesù ci si
innamora.
È a questo punto che interviene un’altra questione, la questione del
“bello”.
Non possiamo creare e volere un Cristianesimo sotto sforzo: il Cristianesimo non è frutto degli sforzi. In fin dei conti il
Gesù si presenta come la risposta al bisogno dell’ “illimitato”,
dell’ultimo non del penultimo.
Il Papa ci ha regalato la lettera stupenda, che ha mandato a tutti i
giovani, nella quale egli invita i giovani a guardare all’ “ultimo”, al
“bello”, a ciò per cui vale la pena di dare la vita, di consegnare le
proprie risorse, i propri dubbi, anche i propri soldi, anche i propri
progetti, consegnarli all’ “ultimo”.
Allora qui sorge un’obiezione: ma come posso io sentire il bisogno dell’
“ultimo” se quest’ “ultimo” io non lo conosco?
Ecco, il Papa risponde nella sua Enciclica “Spe Salvi”, e fa almeno
un discernimento filosofico breve, cioè tra l’immediato e ciò che non
vedo, fare la scelta di ciò che non vedo.
È chiaro che questo esige una rinuncia a ciò che non è vero per ciò che è
vero ed è più vero. Questo è richiesto dalla dignità umana di ogni uomo,
l’uomo ha tanta e sufficiente dignità da poter voler l’ “ultimo” e non il
penultimo.
Allora a questo punto se tu veramente sei coerente in questa ricerca dell’
“ultimo”, attraverso anche il processo di conoscenza finisci per
incontrare Gesù.
Se veramente questo discorso fila, cioè questa ricerca dell’ “ultimo”, la
ricerca del “bello” a cui sottoporre tutte le altre scelte è coerente e
conseguente alla dignità dell’uomo, l’incontro con il bello scatena in te
la reazione e l’intenzione di volerlo. A questo punto interviene il cuore
e con il cuore io scelgo ciò che vale la pena. Non è semplicemente una
questione che io mi sforzi di volere Gesù.
Lo diceva S. Agostino: “io vado in cerca del piacere di Gesù, se Gesù non
mi fa piacere non lo vado a cercare. Gesù deve piacermi, deve essere la
cosa che mi piace di più” (cf S.Agostino, Tr in Giovanni, XXVI, 5).
Applicando in tutti gli ambiti della vita, nello stesso matrimonio, io amo
la mia donna o amo il mio uomo perché in lui innesco quella dinamica che
mi permette di essere agganciato con mia moglie, con mio marito, al bello,
a ciò a cui vale la pena, quindi insieme lavoriamo e ci muoviamo per
questo.
Questa è la prima parte della nostra conversazione per la quale siamo
partiti dal racconto dei discepoli di Emmaus. A questo punto i discepoli
di Emmaus dopo aver risolto il problema, grazie a Gesù che si fa vedere
nell’ Eucarestia, tornano e vanno a raccontare l’accaduto, il loro
incontro, la “conoscenza avuta” di Gesù (conversione della mente) e con il
cuore ormai ardente, convertito cioè in modo corretto e pieno di piacere
per Gesù (conversione del cuore), salgono nuovamente proprio là dove
eravamo noi poco fa, nel Cenacolo, e testimoniano, annunciano con
entusiasmo quello che è successo loro. Fu un gioco di riconoscimento,
perché tra l’altro gli Apostoli a loro volta proclamano con gioia che era
apparso a Simone.
2 - Una comunità luogo dell’esperienza del fenomeno Gesù.
Io non mi soffermo ora su quello che successe nel Cenacolo,
piuttosto preferisco insistere sul secondo processo, sul “poi” di una
comunità formata da persone che sono state raggiunte dalla tensione al
bello, che sono state proprio toccate dallo stupore del fenomeno Gesù, e
da questo fenomeno sono messe insieme. E da notare, essi stavano insieme
con Maria in preghiera (At 1,14).
Ma quali sono i segni dello stare insieme, quali sono le cadenze, le
regole, gli aspetti che devono definire la vita di una comunità, di un
movimento? Sono quelli che troviamo in Atti 2, 42-46.
Atti 2, capitolo 2 ci presenta quello che succedeva nel quartiere
cristiano del Monte Sion intorno al Cenacolo. Il Cenacolo dell’Eucaristia
e della Pentecoste costituiva il salone degli incontri dell’assemblea
cristiana, e poi si continuava a vivere l’esperienza cristiana nelle
proprie case.
In quel quartiere, si trovavano per realizzare quattro momenti della vita
della primitiva comunità cristiana gerosolomitana: la conoscenza
catechetica, la preghiera eucaristica, la preghiera nelle case, la
socialità della carità.
- Primo punto: la conoscenza catechetica
Gli Apostoli insegnavano. Quindi la prima cosa era che i cristiani
erano fedeli agli insegnamenti, a conoscere Gesù e il progetto del suo
regno. Gli Apostoli non venivano meno a questo compito che resta loro
precipuo. Anche quando Pietro se ne andrà, resta Giacomo, è lui il capo
della comunità che organizza i corsi di insegnamento su Gesù.
- Secondo: erano assidui alla frazione del pane,
all’Eucaristia.
Quindi, allora, si ritrovano per celebrare quello che Gesù ha celebrato
con i discepoli di Emmaus. L’Eucaristia diventerà il segno qualitativo del
nuovo mondo che Gesù ha inaugurato, mentre nello stesso tempo erano fedeli
anche alla preghiera al tempio. Ogni sabato essi non mancavano al tempio,
nelle sinagoghe, cioè si comportavano da Ebrei diventati Cristiani. I due
mondi erano convissuti nella comunità di Gerusalemme. Noi, invece, che
siamo diventati il secondo mondo, quello non giudeo né giudeo-cristiano,
abbiamo dimenticato il primo, il mondo ebraico, il mondo delle nostre
radici. Invece qui a Gerusalemme si viveva il primo mondo, quello
giudaico, insieme e congiuntamente e in modo armonico, con il secondo
mondo, il mondo cristiano. Quindi i cristiani a Gerusalemme vivevano
l’assemblea eucaristica ma anche la preghiera nel tempio.
- Terzo: erano fedeli alla preghiera nelle case.
Questa assiduità nella preghiera coinvolgeva il modo di concepire la
vita, tutto il lavoro, le attività umane, le relazioni, dipendevano tutto
dalla preghiera. Normalmente la preghiera era nelle case, quindi le
famiglie erano centri di preghiera, di per sé e anche come espressione di
coagulo delle altre case.
- Quarto: questo modo di concepire la vita in Gesù, nella vera
conoscenza, produceva dei fatti tali che la socialità ne beneficiava.
Ne beneficiava sia la comunità cristiana sia anche gli altri.
Veramente non c’era nessuno che poteva dire io ho qualche soldo in più e
tu sei nell’indigenza, perché si viveva la cassa comune, si viveva
l’attenzione di tutti a tutti, si faceva attenzione alla sanità,
attenzione alla scuola, attenzione a tutto, proprio come diramazione della
preghiera, come consequenzialità della preghiera.
La Chiesa si è sempre curata della “caritas”, della socialità, nel senso
educativo, nel senso sanitario e nel senso anche sociale. Quindi una vera
comunità che non attende soltanto il servizio liturgico, ma anche alla
caritas, ai bisogni umani, (adesso dal ‘900 in avanti in Italia c’è
l’assistenza, c’è la scuola organizzata, ma per 1900 anni è stata la
Chiesa che ha sempre fatto questo). Non dobbiamo derogare le competenze
dello Stato. Ma la comunità cristiana non può essere soltanto la comunità
della preghiera, peggio ancora alla dimensione religiosa relegata al
privato, ma una comunità che si dilata nel sociale.
Tutto cambia attraverso questa ottica, a partire dall’essere una sola cosa
nella preghiera e nell’eucaristia.
Si diventa sociali anche nei beni, è il socialismo cristiano, non il
socialismo imposto, quello della classe sociale, quello di Marx ecc, ma è
un socialismo che deriva dal fatto che condividiamo lo stesso pane, che
condividiamo la stessa preghiera, una che affratella e che toglie la
percezione di una società di classe, liberi e schiavi.
San Paolo ha detto che non c’è più separazione tra uomo e donna, tra greco
ed ebreo, tra schiavo e libero ma tutti siamo diventati una sola persona in Cristo Gesù (cf Gal 3,27-28), questo è il mondo nuovo.
Ecco allora, Gesù ha in mente proprio questo sogno. Allora dicevo: una
comunità deve veramente riappropriarsi di quelle che sono le coordinate
fondamentali della comunità cristiana primitiva, proprio del quartiere
del monte Sion di Gerusalemme, e se veramente, e in questo pensiero mi
unisco al Papa che nella sua omelia a Fatima il 13 maggio di quest’anno si
augura e prega perché entro il 2017 si possa realizzare il trionfo del
Cuore immacolato di Maria, (questo lungi dal pensare che tutti saranno
convertiti, tutti saranno santi, no, il peccato ci sarà sempre, ma
aumenterà di qualità e anche di quantità il numero di coloro che
aderiranno al modo di vivere del Vangelo!).
Allora ogni comunità cristiana che scaturisce per grazia, che si forma per
questi canali di grazia, dovrebbe veramente riappropriarsi di queste
coordinate quindi diventare una comunità che sa, nell’umiltà, di essere
anticipatrice, un’isola, una piccola realtà di quella che sarà la grande
realtà del Regno di Dio.
Quindi veramente siamo invitati a lavorare in questo senso e quindi
diventare ed essere un cuor solo e un’anima sola come dirà Atti 4, 32,
diventare un corpo solo nella preghiera ma poi anche nella cultura e nella socialità,
quindi sentire che veramente la comunità cristiana è presente, è molto
presente qui e realizza il centuplo già qui in questa terra (cf Mc
10,30).
3 - Ultimo
punto è la presenza di Maria, qui, in Terra Santa c’era la Madonna. Qui
non appariva, ha vissuto la sua esistenza.
In questi testi che abbiamo preso in considerazione, Lc 24,13-35 e
At 2,42-46, sembra che non ci sia la Madonna, ma in Atti 1, 14 c’è la
presenza di Maria, “erano assidui in preghiera con Maria la Madre di
Gesù”. Essa è lì fino alla sua morte. La Madonna è sempre rimasta li,
quindi dietro quello che è scritto in Atti 2 e in Atti 4, in effetti, c’è
la Madonna che vedeva tutto e si curava di tutto, il primato mariano
accanto e sotto il primato petrino.
La Madonna non è il capo della comunità
ma, in effetti, ne diventa la guida, presente, discreta. Essa non ha
nessuna funzione di leader, non è il capo della comunità, è soltanto la
madre di Gesù, la madre alla quale Gesù ha consegnato la sua comunità,
anzi il mondo intero, quindi lei è presente più che altro con la sua
presenza materna, con la sua preghiera, con il suo consiglio, con la sua
arte materna, quindi creando un punto di riferimento sobrio, delicato, ma
costante e fisico, fino all’ultimo momento.
Perché lei morirà in mezzo ai suoi figli della comunità cristiana del
monte Sion, lei era là, era per tutti, ma non si sostituiva a Pietro, non
si sostituiva a Giacomo, però era la mamma di Gesù, una donna eccezionale
nella sua delicatezza, nella sua bontà, quindi era come dirà un giorno la
teologia cristiana: lei rappresentava la Chiesa stessa.
Come è bello salutare allora tutti i luoghi in cui Maria, come dono di
Dio, si dà a vedere! Appare! Ogni luogo è speciale, ognuno dei luoghi di
apparizione autentica è pieno della presenza dell’unica Madonna,
dell’unica Madre di Gesù, dell’unica Madre di tutti e Madre mia
specialissima. Giovanni riserva alla Madre di Dio un unico verbo: “C’è,
c’era…” (Gv 2, 2 e Gv 19,25). È più importante Cana o è più importante
Gerusalemme? È più importante Medjugorje o più importante Paratico?
Ma è Lei il “più” in tutti i luoghi veri profumati della sua presenza
materna e salvifica. E Lei è autenticamente presente là dove con il suo
materno amore e aiuto, con il suo messaggio evangelico, contribuisce a
formare la Comunità di Suo Figlio, la Chiesa, centuplo in questa terra
precorritrice del Regno. Infine un consiglio per tutti… non paragonare mai
Medjugorie a Paratico o a qualsiasi altra apparizione, ma paragonare la
comunità di Paratico solo ad Atti degli Apostoli capitolo 2, crescere
sempre nell’umiltà e nella fede.
Dio vi benedica! |